lunedì 16 gennaio 2012


“Spinti al peggio.
Trattare l’osceno”

Marie-Hélène Brousse
(trascrizione della conferenza tenutasi a Torino il 25 febbraio 2011)

Sono stata molto fedele, come sempre in psicoanalisi, alla lettera che mi è stata data: Spinti al peggio. Sono anche andata a vedere nel dizionario. E poi a: Trattare l’osceno. Sono dunque partita da due cose: che cos’è il peggio, oggi? E che cos’è per me, una psicoanalista, l’osceno? Comincerò col dire, scherzando un po’, che il Terzo Millennio, almeno in Europa, non è molto allegro e che questo titolo Spinti al peggio non è destinato ad entusiasmare le folle. Il tema ha dunque i colori dei tempi europei. Gli psicoanalisti sono sinistri? Certo, le nostre attività ci portano a interessarci a ciò che non va, a ciò che fallisce; vale a dire, dopo Freud: gli atti mancati, gli incubi, i sintomi, in breve, tutto ciò che disturba. Ed è vero che almeno a un certo momento del lavoro analitico, accade che la parola del soggetto si riduca a un lamento. Non è molto allegro tutto ciò.
In più, il movimento analitico è stato piuttosto reazionario, una piccola tendenza a essere reazionario come ha esplicitato Lacan. Ciò perché il movimento analitico era aggrappato all’Edipo e non vedeva scampo che nel Padre. Non è un buon tempo per il Padre. Il Padre va male, sotto tutte le sue forme, cioè sotto le forme di autorità tradizionali: la medicina – molto meno considerata che un secolo o due fa –, gli insegnanti, i genitori, i legislatori, i giudici, gli uomini politici. In poche parole, tutte le posizioni di autorità, e dunque il Padre, compreso quello lì in alto, sono in deficit di potere, e gli psicoanalisti si aggrappano all’idea che ci vuole del Padre.
Lacan stesso, per tutta una prima parte del suo insegnamento, ha ridato al Padre, nel movimento psicoanalitico, le sue lettere di nobiltà. È anche un fenomeno clinico: un bambino che vede suo padre annientato, in generale va meno bene di un bambino il cui padre ha un lavoro, una moglie, un’auto, vale a dire tutti gli emblemi. Un certo numero di antropologi psicoanalitici – in Francia c’è una scuola di antropologia psicoanalitica piuttosto importante – ha potuto dimostrare che avere un padre immigrato disoccupato, che non parla la lingua del paese, è un fattore di vulnerabilità. Non è un destino; ci sono delle possibilità che si aprono anche in quei contesti, ma è una difficoltà.
Lacan ha poi provato a sostituire il Padre con il nome: farne meno una funzione legata alla legge e al potere e farne più una funzione di nominazione. D’altronde nominare è anche un potere. Ebbene, anche il nome non va bene, quello che oggi funziona è la cifra, è contare. La cifra va meglio del nome e noi i fenomeni li cifriamo più che nominarli. Anche la lettera va bene. La lettera minuscola delle equazioni va bene perché è la logica matematica e la logica matematica è il fondamento della scienza. La lettera e la cifra hanno sostituito il Padre e il nome, li hanno sostituiti nella gestione degli affari umani. A trionfare sono piuttosto dei sistemi di gestione, e tutto questo si trova fuori senso edipico e anche, per la maggior parte del tempo, fuori senso sessuale.
Forse bisogna che dica che cosa uno psicoanalista intende per sessuale: essenzialmente è il binario classico uomo-donna, cioè la differenza sessuale che è una delle grandi figure della differenza in generale, come i vivi/i morti, i ricchi/i poveri, gli uomini/le donne, quelli che sono in posizione maschile e quelli che sono in posizione femminile. Cosicché, i nostri modi di decifrare il sociale sono oggi completamente differenti da ciò che accadeva all’inizio del XIX secolo.
Ciò che è stato detto da Lacan è che il movimento va dal Padre al peggio nella gestione degli affari umani. L’ha detto in modo precoce, quasi come un precursore, essenzialmente a partire dalla sua esperienza della Seconda Guerra Mondiale. È da quei fatti che ha ritenuto che lì era entrato sulla scena il peggio e che il peggio non era un’eccezione, ma una piccola anticipazione di quello che avrebbe continuato a funzionare in quella direzione. Citerò Lacan: “È ormai chiaro che le potenze oscure del superio si coalizzano con gli abbandoni più smidollati della coscienza per portare gli uomini ad una morte accettata per le cause meno umane, e che tutto ciò che appariva come sacrifico non è altrettanto eroico”. E qui c’è il punto fondamentale: “ Per contro lo sviluppo che crescerà in questo secolo dei mezzi di agire sullo psichismo, un impiego concertato delle immagini e delle passioni di cui si è già fatto uso con successo contro il nostro giudizio, la nostra decisione, la nostra unità morale, saranno l’occasione di nuovi abusi di potere”.
È un testo sulla psichiatria inglese durante la guerra, un omaggio alla psichiatria inglese, e in particolare un omaggio a due grandi psichiatri inglesi, fra cui Bion, che è stato anche un grande psicoanalista che aveva lavorato durante la guerra con i soldati sulla questione dell’integrazione degli elementi difficili allo sforzo dell’esercito. Tutti quelli che non arrivavano a integrarsi, che rifiutavano in tutti i modi possibili di partecipare a quella guerra, erano presi in carico da questo psichiatra in un modo che Lacan loda.
Lacan dunque non comincia per niente col prendere le cose sul versante sinistro, le prende piuttosto sul versante del combattimento. E anche noi. È per questo che facciamo un certo numero di tentativi di psicoanalisi applicata; dobbiamo occuparci di quello che Lacan, nel suo testo, designa come un Super-Io che ha cambiato di natura. Penso che quando avete scelto il tema di questa conversazione avrete probabilmente pensato al Super-Io, poiché uno degli aggettivi attraverso il quale Lacan definisce il Super-Io è l’oscenità: il Super-Io osceno e feroce.
Mi sono domandata come questo Super-Io fosse cambiato, cioè come fosse cambiata la sua oscenità. Perché questa non può essere la stessa oscenità del tempo dell’Edipo re. Classicamente, l’oscenità era piuttosto definita come la salita sulla scena della pulsione: è Plauto, è la cacca sulla scena, il grosso scherzo, il fallo in tutte le sue forme. Detto altrimenti, è la pulsione svelata, il comico del fallo svelato.
Non è più osceno questo, ricopre i muri delle città, nessuno se ne stupisce più, eventualmente fa ancora ridere, non è lì l’osceno oggi. Dunque l’osceno non è più dal lato del fallo, l’osceno non è più ciò che è ingiusto, non è più ciò che è insopportabile. Allora, che cos’è? Se mi riferisco a Lacan è il Super-Io, ma quale Super-Io? Non è il Super-Io che interdice, non è il Super-Io in quanto legato alla legge, all’ideale. Si potrebbe anche discutere sul perché l’ideale è talvolta completamente osceno, ma, alla fine, non credo che sia davvero lì che si situa l’oscenità, non è dal lato della legge interdittrice che il Super-Io trova il suo carattere feroce e osceno.
Credo che lo trovi dal lato dell’imperativo, di un imperativo vuoto, cioè che non è legato al fallo. Qualcosa da definire, cioè alla voce, vale a dire a un oggetto. Detto altrimenti, tenderei a pensare che il carattere osceno del Super-Io oggi attiene al suo legame con il reale.
Proverò a farvi intravvedere quello che voglio dire attraverso due esempi. Un primo esempio è un lavoro di Jean Claude Milner dal titolo Il governo delle cose, e che d’altronde non è la sola voce che va in quel senso, perché ci sono altri, filosofi, ricercatori, sociologi e politici che dicono la stessa cosa. Che cosa Milner vuol dire parlando del governo delle cose? Vuol dire che, per esempio, al livello della politica, non vi si dice di farlo perché bisogna, perché la legge lo esige, vi si dice di farlo perché non è possibile fare altrimenti, cioè perché il reale lo esige. Non un comandamento umano, no. Il reale.
Si prova a trasformare le leggi umane in leggi naturali, cosa che non sarà mai necessaria, le leggi umane infatti non sono mai delle leggi naturali perché passano sempre attraverso la parola e l’interpretazione, anche l’interpretazione più “basica”. Per esempio, parlando di cifre, ci si chiede subito che cosa voglia dire, e dunque c’è un’interpretazione che viene lì e che inquadra il reale. Il Super-Io attuale è una voce che pretende di essere la voce del reale. Che voi diciate sì o che voi diciate no, non ha assolutamente alcuna importanza. È il vostro potere di assentire o di contraddire che è messo in causa, e penso che ciò rappresenti una certa oscenità, il fatto di presentare delle leggi umane come se fossero delle leggi naturali, cioè di far sparire la divisione soggettiva presente nella parola stessa e nella possibilità di assentire come di contraddire.
L’altro punto che mi sembra importante per definire l’oscenità del Super-Io moderno è che si tratta di un Super-Io puntuale della mondializzazione o della globalizzazione. La mondializzazione è il regno assoluto del discorso capitalista. Non ci sono più società che sfuggono all’organizzazione del discorso capitalista e al suo principio di funzionamento. Non ho niente contro. Qual è il principio del discorso capitalistico? Il più: più profitto, più oggetti, più anni di vita, più salute, più sicurezza, al prezzo meno caro. Il Super-Io capitalista è un Super-Io che mette il più in alto e il meno sotto. Lacan ha molto utilizzato, e Miller l’ha spiegato, il piccolo matema S/s, dunque più/meno.
Dunque, nel discorso, il significante padrone è più sicurezza, più salute, più ricchezza. Più, più, più! Ma, sotto a questo più, deve corrispondere un meno. Per esempio, in Francia, meno attrezzature per trattare le questioni di precarietà e di vulnerabilità sociale; negli Stati Uniti, per le compagnie di assicurazione, meno soldi per trattare la schizofrenia, perché non guarisce. È vero che non guarisce, ma la risposta è: se non guarisce non vale la pena di trattarla. D’altronde, in termini di denaro, non è così sicuro che si tratti di un buon calcolo.
Mi sembra che il Super-Io si riduca a del più e del meno e terminerò attraverso alcuni piccoli orientamenti su come uno psicoanalista si situa in rapporto a tutto ciò. Il primo punto mi sembra essere la nostra volontà di far salire sulla scena il sintomo. Ci auguriamo che il sintomo trovi il suo posto sulla scena del mondo e pensiamo che spesso sia proprio ciò che è più utile a un soggetto per sopravvivere.
Veniamo da una conversazione con un paziente in una comunità. Questo signore ci ha spiegato che quello che ciò che lo mantiene nel corso della vita è la sua compulsione - lui stesso pensa che si tratti chiaramente di un sintomo - per gli orologi, che lo accompagna da molti anni, che lo mette in difficoltà, ma che ugualmente lo tiene in vita. E dunque gli operatori di questa comunità, orientata dalla psicoanalisi, hanno deciso di non impedirgli di comprare degli orologi, ma di creare con lui un programma che faccia sì che questi acquisti non mettano troppo in difficoltà la sua esistenza e quella degli altri.
Dunque noi lottiamo dal lato del peggio definendo il peggio attraverso il sintomo, facciamo di tutto perché il peggio si riduca al sintomo, e il nostro altro mezzo per trattare questa oscenità e questo peggio è l’interpretazione; non l’interpretazione transferale, ma un’interpretazione attraverso l’oggetto, che è una risposta per fare del reale la legge.
(Testo non rivisto dall’autrice)

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