mercoledì 21 marzo 2012
“IL SINTOMO TRA PAROLA E SCRITTURA”
Jean-Louis Gault
(Lezione magistrale al Goethe-Institut di Torino del 2 marzo 2012)
1. La cura analitica è un’esperienza di parola, nella parola e dalla parola. In un’analisi, un soggetto, l’analizzante, parla, e tocca all’analista, a cui si rivolge, prendere la parola per rispondergli. Questa interlocuzione è profondamente asimmetrica, visto che, per la maggior parte del tempo, è l’analizzante a parlare, mentre gli interventi dell’analista sono rari e spesso brevi. Questi interventi s’inscrivono in questo scambio così particolare, secondo una modalità in se stessa singolare. Prendono la forma d’interpretazioni di quello che è stato detto dall’analizzante.
Questa esperienza realizza un dialogo, certo atipico, che da lì si estende nella sua interezza nel campo del linguaggio, dove si trova sollecitata la funzione della parola.
Il sintomo di cui viene a lamentarsi il paziente, rivolgendosi all’analista, prende la via della parola. È su questa base che il sintomo, così necessariamente articolato nel dispositivo di parola dell’analisi, è stato concepito da Freud come un messaggio. Il sintomo ha una significazione, vuole dire qualcosa. Lacan ha dato la forma linguistica di questo sintomo parlato, identificandolo con l’effetto di senso poetico ottenuto con la metafora. Il sintomo è una metafora.
2. Il sintomo non si potrebbe ridurre a una faccenda di parola. Nella sua fabbricazione, implica sempre la partecipazione del corpo di colui che ne soffre. È precisamente nel modo di un disturbo del corpo che il paziente se ne lamenta. Il sintomo è sempre, diremmo, body-made - se ci si permette questo scorcio in inglese, ricalcato sul vocabolario della produzione degli oggetti industriali. In francese, secondo una formula di pura provenienza lacaniana, del sintomo si può dire che è EN-CORPS, “In corpo”. È nel corpo, ed è fatto con il corpo. È per questa ragione che il sintomo è scrittura, nella misura in cui il corpo dà supporto materiale al sintomo, come la scrittura dà supporto materiale alla parola.
Sintomo __ Parola
Corpo __ Scrittura
Il sintomo è così qualificato come simbolo scritto sulla sabbia della carne.
3. La pratica dell’interpretazione analitica dipende da questa doppia appartenenza del sintomo alla parola e alla scrittura. L’interpretazione prende posto tra l’ascolto del senso del sintomo nella parola, e la lettura del sintomo come scrittura. Prima di tutto, si deve sottolineare questo: il sintomo con cui abbiamo a che fare nell’esperienza analitica non dipende in nessun modo dalle leggi che reggono il funzionamento dell’organismo umano. Quest’organismo appartiene a una realtà biologica, cioè in definitiva fisico-chimica. Esistono dei sintomi che appartengono a questa realtà, sono quelli di cui si occupa la medicina. La psicoanalisi non pretende affatto di dire qualcosa su questi sintomi. I sintomi della tubercolosi fanno parte di questa malattia, ben conosciuta dalla medicina. Questa malattia appartiene a una realtà fisica, dove il bacillo di Koch è implicato nelle lesioni causate negli organi malati. Solo l’intervento di un agente fisico, il farmaco antitubercolare, può curare quest’affezione. Far parlare il paziente dei suoi sintomi di tosse o di dispnea, quando è colpito da una tubercolosi polmonare, non è per niente una risposta adeguata a questi tipi di sintomi. Il sintomo della malattia tubercolare non è né un messaggio, né una scrittura. È così in tutti i sintomi delle malattie fisiche autenticamente identificate dalla medicina in quanto tali.
Accanto a questa realtà biologica dell’organismo, esiste un’altra realtà. L’organismo offre una base materiale a ciò che chiamiamo il corpo; ma il corpo non è riducibile a questo substrato fisico. Il corpo appartiene ad un altro ordine di realtà. Il corpo è il risultato degli effetti della struttura di linguaggio sull’organismo dell’essere parlante. Così un essere umano ha un corpo, e ne ha solo uno. Risulta, da questo effetto del linguaggio sul suo organismo, che il soggetto umano è suscettibile di soffrire di una categoria di sintomi che sono legati al fatto che questo soggetto subisce l’effetto nel suo organismo del campo del linguaggio, della funzione della parola, e aggiungeremo ormai, dell’istanza della scrittura. Questi sintomi sono quelli con cui si è confrontato Freud, e ha inventato un modo di dialogo appropriato per accoglierli e rispondergli. Questo dispositivo è quello della praxis analitica. Questi sintomi sono quelli con cui gli psicoanalisti hanno a che fare nella loro pratica quotidiana; sono i sintomi di ciò che chiamiamo generalmente le nevrosi, le psicosi e le perversioni. La medicina moderna e la scienza rifiutano di considerare l’esistenza di questa sorta di sintomi. La scienza ha la pretesa di ridurre ogni tipo di sintomi alla realtà fisica dell’organismo umano. Gli psicoanalisti sono impegnati in una battaglia per mantenere la specificità di questi sintomi che sono propri agli esseri parlanti. Fra questi sintomi, neppure uno s’incontra nello stato naturale dell’animale; mentre, le malattie fisiche, da cui dipendono i sintomi in medicina, hanno tutte i loro equivalenti in una o nell’altra specie animale.
Perché gli esseri parlanti hanno dei sintomi che attribuiamo al fatto che parlano? Lacan considerava che c’era sempre qualcosa che non andava nella vita di un essere umano, ed è giunto a dire che questi sintomi erano qualcosa che aiutava questi esseri a vivere.
Perché questa zoppia? La struttura del linguaggio introduce un disturbo, una faglia, uno strappo nella relazione del soggetto con il suo corpo. Dall’effetto del linguaggio, egli eredita un corpo che lo imbarazza senza sapere cosa fare con questo corpo, senza sapere a cosa possono servire le differenti parti del suo corpo. Deve quindi imparare come servirsi di questo corpo, e stabilire una relazione con le sue diverse parti. È una funzione dell’educazione quella di insegnare al soggetto gli usi del proprio corpo. Il soggetto deve acquistare questo sapere sul corpo, sia nella sua relazione con il proprio corpo, sia nelle relazioni con il corpo degli altri. Deve anche imparare ciò che conviene fare o che non conviene fare nell’inscrizione del proprio corpo nelle sue relazioni con gli altri esseri parlanti. Ogni civiltà trasmette le sue proprie tradizioni riguardanti le proibizioni, gli usi leciti, o le prescrizioni che colpiscono il corpo.
L’essere parlante dovrà anche imparare che nel mondo ci sono delle donne e che ci sono degli uomini; che queste donne e questi uomini hanno corpi differentemente sessuati. Dovrà anche sapere come inserire il suo corpo, dotato di un certo sesso, nella sua relazione con uomini o donne. Il corpo così concepito non appartiene alla realtà che è quella dell’organismo che lo supporta. Partecipa di una realtà che si potrebbe chiamare etica, dove, quando si tratta di questo corpo, si giudica di quello che è bene e di quello che è male.
Lacan ha sottolineato che ciò che è più fondamentale nelle relazioni sessuali dell’essere parlante ha a che vedere con il linguaggio. In questo senso non è per caso che chiamiamo la lingua di cui ci si serve la nostra lingua materna. Il ragazzo è attratto dalla madre, e la ragazza è in una relazione di rimprovero con lei. È perché le relazioni tra uomini e donne hanno un ruolo decisivo nella formazione dei sintomi. È quello che aveva appuntato Freud. Tutto ciò che ha a che vedere con il sesso, è sempre destinato a fallire. Lacan ha dato una formula apparentemente sorprendente di questo vicolo cieco sessuale: non c’è rapporto sessuale - ha strombazzato con un’innegabile provocazione all’epoca della liberazione sessuale. Quest’assenza di rapporto sessuale vuol dire che non c’è per l’essere parlante, a livello sessuale, un programma naturale che si potrebbe scrivere. Questo è dovuto alla distorsione introdotta dalla struttura del linguaggio nella funzione sessuale biologica naturale. È quello che Freud aveva indicizzato sotto il nome di perversione polimorfa, che segnava fin dall’inizio la vita sessuale del bambino.
Il fiasco sessuale è al centro di qualsiasi relazione di parola. Gli uomini e le donne parlano soltanto di questo, per lamentarsi del proprio fiasco o del fiasco degli altri. Il fiasco, qualsiasi volto prenda, ha sempre a che vedere con il fiasco sessuale. Freud notava che qualsiasi atto mancato, qualsiasi lapsus, aveva sempre a che vedere con il sesso. Bisogna qui citare un lapsus saporito di un’ex-ministra di un governo francese che, esprimendosi sulla situazione economica del nostro Paese, dichiarò alla televisione che la preoccupazione numero uno dei francesi era la fellazione, lì dove avrebbe voluto dire l’inflazione.
Freud ha scritto, nel suo libro su “Inibizione, sintomo e angoscia”, che: “Un sintomo è il segno (Anzeichen) e il sostituto (Ersatz) di una soddisfazione pulsionale che non ha avuto luogo”. Così, il sintomo è in relazione con una soddisfazione che manca; ma quello che bisogna sottolineare è che questa assenza di soddisfazione non è casuale. È irriducibile. Non la si può correggere. È costitutiva; e ne dà testimonianza il fatto che il sintomo, che ne è il segno, non può mai essere portato a zero. Persistono sempre quelli che Freud aveva isolato come resti sintomatici. Quello che rimane sempre incompiuto a livello della soddisfazione è quello che Lacan ha chiamato l’inesistenza del rapporto sessuale negli esseri parlanti. I sintomi sono sempre il segno di questo non rapporto sessuale, e i resti sintomatici sono il segno dell’impossibilità di scrivere il rapporto sessuale.
In questo senso di segno, il sintomo è concepito, a livello della parola, come un messaggio e una metafora di questa inesistenza del rapporto sessuale. In questo posto può essere interpretato nell’ambito del dispositivo di parola dell’analisi. Ma il sintomo è anche un sostituto di questa soddisfazione che manca, e, in questa misura, Freud non ha mai smesso di sottolinearlo: il sintomo è una soddisfazione. È un’altra soddisfazione introdotta nel corpo dall’effetto della parola e del linguaggio, ma è la soddisfazione che non ci vorrebbe. È la soddisfazione che non ci vorrebbe perché costituisce un ostacolo alla relazione soddisfacente dell’essere umano con il suo corpo e il corpo degli altri. La soddisfazione che vorrebbe rimane per sempre assente. Quest’altra soddisfazione introdotta dal linguaggio è una soddisfazione deviata rispetto alla soddisfazione che vorrebbe.
Così, in quanto segno, il sintomo è presente nella parola come messaggio. È trasportato dal significante e ha una significazione che può essere ascoltata e interpretata. Nella sua costituzione, però, il sintomo prende il suo materiale nel corpo, ed è a questo livello che si lega una soddisfazione che non cessa. Lacan è arrivato a qualificare il sintomo come evento di corpo, ma fin dall’inizio del suo insegnamento, mentre notava il fatto che il sintomo era parlato, aveva rilevato questa partecipazione del corpo nella formazione di un sintomo. Lo qualificava come “simbolo scritto sulla sabbia della carne”. Il riferimento al corpo coinvolge la dimensione della scrittura. Perché? Il significante è articolato nella parola, ma il significante deve anche essere considerato nella materialità che gli offre il suo supporto. È per esempio il carattere di stampa, che presentifica ciò che chiamiamo la lettera; nella misura in cui è a livello del corpo che si localizza l’articolazione significante del sintomo. È il corpo che fornisce il carattere di stampa, la lettera, per scrivere il sintomo. È nella carne che il sintomo incontra la scrittura e la lettera. Il sintomo è parlato, ma è anche scritto. È incarnato e realizza la sua scrittura con elementi presi dal corpo.
Quindi, dal momento che abbiamo estratto queste due coordinate del sintomo, parola e scrittura, quali sono le conseguenze a livello della pratica dell’interpretazione analitica? Nel registro della parola il sintomo è ascoltato e il suo senso è interpretato. Quando si aggiunge il livello in cui il sintomo è scrittura, siamo portati ad elaborare una concezione della lettura del sintomo. Quando si tratta dell’esperienza di parola, che costituisce la cura analitica, la lettura del sintomo suppone la trasmutazione della parola in scrittura. Questa operazione è necessaria, perché ciò che è detto non si presta immediatamente ad essere letto. Ciò che è detto porta piuttosto ad essere ascoltato, e ascoltare vuol dire ascoltare il senso di quello che è detto. Leggere è un’altra cosa.
Ad esempio leggere, giocando sull’omofonia di ciò che è stato detto, costringe a riferirsi all’ortografia, cioè alla buona maniera di scrivere. Giocare sull’omofonia è possibile soltanto se ciò che è detto nello stesso modo, si può scrivere in maniere differenti.
Si può anche leggere ciò che è detto sfruttando le risorse della grammatica. Colui che interpreta ad esempio rovesciando il soggetto e l’oggetto, suppone che l’inconscio conosca le regole della grammatica.
All’omofonia e alla grammatica, Lacan aggiunge la logica. Anche essa non terrebbe se non attraverso lo scritto. Non è assoggettata al principio di contraddizione, a dispetto dei paradossi che la assalgono.
Due esempi di questa pratica della lettura di ciò che è detto.
Il primo trae vantaggio dalle risorse dell’omofonia. Una paziente in analisi inizia una seduta così: “L’ultima volta mi sono fermata sulla parola incidente. Ho l’impressione di incontrare lì un taglio”. Quando abitava in un certo posto aveva sempre la voglia di abitare altrove.
Poi racconta un sogno: “Ho un appuntamento con un ragazzo. Camminiamo. Siamo in montagna. Il terreno è accidentato”. E, subito dopo, riporta un secondo sogno: “C’era una vasca quadrata minacciosa, non si doveva cadere dentro. Un bambino corse e cadde. Era angoscioso. Nel sogno c’era questo bordo con questo pericolo”.
Dopo, la paziente legge il suo sogno. Dice: “È una posizione mia. La parola bordo (bord) mi fa pensare alla parola bordello (bordel) che ho già incontrato nella mia analisi. È una parola che mi ha permesso di afferrare qualcosa di mia madre. Era una parola che ripeteva con piacere (dilectation) all’età di due anni. Me l’hanno raccontato. Questa parola raccoglie diverse cose intorno alle quali sto girando. È una cosa avvilente che si associa con la femminilità. È una specie di verità su mia madre. È un sigillo che avrebbe segnato la discendenza materna, mia madre e mia nonna. Mio padre classificava queste donne dal lato delle prostitute. Oggi, con questo sogno, leggo diversamente la parola bordello, la leggo in due parole: bordo (bord) e lei (elle). È un posto che mi vedo occupare nella vita: essere sul bordo rivolta verso di lei, ma nell’impossibilità di raggiungerla. Era soltanto attraverso la frattura, che la speranza di un cambiamento era possibile. Un bordo e un al di là mi permettevano di respirare per essere viva. Per vivere il presente dovevo essere su un bordo, percepire che ciò poteva rompersi, e risentire la possibilità della rottura”.
L’altro esempio prende spunto dalle possibilità della grammatica.
Una paziente in analisi racconta di avere dei sogni ripetitivi dalla nascita di sua figlia: “La prima volta ho sognato che la soffocavo. Mi sveglio confusa. In un altro sogno, che ho fatto più volte, mia figlia si trova tra me e mio marito. Dimentichiamo che lei sta lì, e la soffochiamo. Mi domando perché il sogno si ripeta. La prima volta, dopo il sogno, mi sono fatta questa domanda: non la soffoco un po’ troppo con la mia presenza? Nella sala d’attesa mi sono ricordata di qualcosa: da piccola vestivo una camicia da notte; la mattina, mia madre me la toglieva, e allora avevo paura di rimanere bloccata sotto la camicia e di soffocare. Facevo tutto il possibile perché non me la togliesse. Avevo anche il timore di soffocare e di non poter respirare quando avevo qualcosa sopra il mio viso”.
“Al di là del mio timore di soffocare mia figlia, mi sono chiesta se lei non mi soffocasse in certi momenti. A partire da questi sogni ho notato recentemente di avere delle reazioni molto vive. Mi sono ribellata contro la famiglia di mio marito. Il fine settimana dovevamo presentare nostra figlia alla famiglia. All’ultimo momento il fratello di mio marito si è invitato per fare la presentazione di suo figlio, che è nato quattro giorni prima di nostra figlia. Mi sono arrabbiata”.
Nella seduta successiva presenta quest’altro sogno: “Mia nonna è nel salone. Entra mio nonno che mi chiede: mi riconoscerà? Ha dimenticato tutto. Nella realtà mia nonna è morta, e mio nonno ha perso la memoria. Mi sono ricordata questo sogno perché mi sono chiesta perché ero così arrabbiata la settimana scorsa. Questo mi ha fatto pensare alla nonna e a mia zia, che potevano arrabbiarsi, e io non potevo oppormi a mia nonna o a mia zia; ma mi oppongo fortemente alla famiglia di mio marito. Al momento della sua nascita, quando mi hanno messo mia figlia in braccio, mi è venuta in mente questa frase: è una bambina leggera; e sogno che la soffoco. Mia nonna mi soffocava. Non ero una bambina leggera quando ero piccola. Tentavo di essere seria per calmare mia nonna”.
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