giovedì 1 maggio 2014

Venerdì 9 maggio ore 20.30 - Conferenza "Usi e abusi del corpo"


Ciclo di conferenze a Vercelli: "Legami" - giovedì 8, 15 e 22 maggio alle 18.00


La questione maschile

Bruno de Halleux

Nel bel testo del 1912, Sulla più comune degradazione della vita amorosa, Freud offre qualche orientamento sulla vita affettiva, sensuale e sessuale dell’uomo. In questo articolo indica le condizioni d’amore per gli uomini. Sappiamo che la sessualità maschile si declina su due assi, quello della sensualità e quello della tenerezza. L’uomo ama una donna attraverso l’intermediazione di sua madre – è la corrente della tenerezza – o attraverso l’intermediazione dell’oggetto – è la corrente della sensualità. Quando queste due correnti si riuniscono, l’uomo avrà un “comportamento amoroso perfettamente normale”. Ma non è il caso più comune.
Il testo di Freud è biblico: “L’uomo lascerà il padre e la madre – come prescrive la Bibbia – e seguirà sua moglie: tenerezza e sensualità saranno allora riunite”. Caso raro, dato che già nei Tre saggi sulla teoria sessuale, ci dice che il sessuale nell’uomo incontra numerose impasse e sviamenti. Gli anni 1910-1915 corrispondono ad un momento in cui Freud elabora in diversi testi il concetto di fantasma.
Senza riprendere questo punto nel dettaglio, ricordiamoci soltanto che, per un soggetto nevrotico, ciò che sfugge nella realtà può compiersi nel fantasma. La corrente sensuale che vorrebbe che il ragazzo scelga come oggetto d’amore i suoi primi oggetti sessuali, è proibita. La libido si stacca allora dalla realtà ed si aggancia all’attività fantasmatica. Questa attività fantasmatica si lega successivamente alla masturbazione, in cui gli oggetti sessuali sono fantasmatizzati per arrivare alla soddisfazione. 
Freud dispiega nei dettagli le ragioni per le quali un uomo in buona salute può soffrire di impotenza psichica. Se accade che la sensualità di un giovane uomo sia legata, nell’inconscio, a degli oggetti incestuosi, ne risulta a quel punto un’impotenza assoluta. Da qui la bipartizione in due direzioni che ne risulta per l’uomo. Cito: “Laddove gli uomini amano, non desiderano e laddove desiderano, non possono amare”. C’è una necessità per l’uomo di scegliere una donna che non ricordi alcun tratto che appartenga all’oggetto incestuoso. Si tratta dello sminuire psichico dell’oggetto sessuale e si tratta di ciò che fa sì che incontriamo regolarmente degli uomini che vengono a consultarci per una patente impotenza con la loro partner, ma che, paradossalmente, non ne soffrono con una prostituta. E’ perché la prostituta non è nella metonimia dell’oggetto edipico, ovvero della madre per l’uomo. Dato che la prostituta è sminuita e disprezzata, la sensualità si può manifestare liberamente e giungere a dei risultati sessuali e ad un alto grado di piacere.
Ancora una parola su Freud dato che, fedele al caso clinico da cui trae una teoria, egli generalizza quello che dice sull’impotenza psichica praticamente a tutti gli uomini. “I comportamenti amorosi dell’uomo nella nostra civiltà attuale hanno, nel loro insieme, il carattere dell’impotenza psichica”. In altre parole, la corrente tenera si fonde con quella sensuale solo per un piccolo numero di esseri civilizzati.
Ci si potrebbe porre la questione se un soggetto che è giunto alla fine della sua analisi, colui che ha saputo testimoniarne in un modo tale da farsi intendere da una commissione per ricevere una nomina di AE, se per un tale soggetto la corrente tenera si è fusa con la corrente sensuale.
Un AE si sente meno colpevole, meno diviso quando fa l’amore senza inibizioni e senza timore con l’oggetto amato?
Rileggevo in un testo di Lacan che “gli psicoanalisi meritano che ci si accorga che essi non giudicano né meglio né peggio le cose della vita sessuale rispetto all’epoca che fa loro posto, che non sono nella loro vita di coppia più sovente due di quanto non lo si sia altrove” (“Allocuzione sulle psicosi del bambino”, Altri Scritti). Mi ricordo anche di un altro testo in cui Lacan indica che la psicoanalisi non dà alcuna ricetta sessuale, né istruzioni per l’uso. Se ne può dedurre che un’analisi non esonera il soggetto dal trovare un bricolage che vada bene con il suo o la sua partner.
Impariamo qualche cosa di nuovo attraverso un soggetto che ha trovato una conclusione alla propria analisi?
Su questo non posso che testimoniare di un’esperienza personale. Personale, e quindi non universale. Posso solo dire quello che si è trasformato nella mia esperienza di vita affettiva e sensuale.
Diciamolo subito, faccio parte del grande numero di soggetti maschili che si sono trovati divisi nella loro vita amorosa. Come molti altri uomini la mia vita, prima dell’analisi, si svolgeva sotto gli auspici del mio quadro fantasmatico, in cui amavo una donna e ne desideravo un’altra.
In un corso di Jacques-Alain Miller, ero rimasto sorpreso dal commento che egli aveva fatto dello schema delle formule della sessuazione nel Seminario XX, intitolato Ancora (J. Lacan, Il Seminario, Libro XX. Ancora, Einaudi, Torino). Questo schema rende conto dei soggetti che s’inscrivono sul versante maschile o femminile della sessuazione. A sinistra l’uomo, a destra la donna. Dal lato sinistro, ovvero dal lato maschile, c’è un’unica freccia che va verso l’altro sesso. Il punto di arrivo della freccia si scrive sul versante dell’oggetto, l’oggetto a. S barrato freccia verso l’oggetto a (S/ è a). In altre parole, l’uomo sceglie sempre l’oggetto del fantasma che una donna riveste. C’era stata grande sorpresa nell’uditorio quando J.-A. Miller aveva dichiarato che l’uomo è sempre fedele al suo oggetto. Anche l’uomo che non smette di cambiare donna dò prova di una grande fedeltà, dato che è fondamentalmente  fedele al suo fantasma. In un certo senso, sceglie sempre lo stesso. Non cessa di ripetersi.
Cito Lacan: “Non gli è dato (all’uomo) di accostare il suo partner sessuale, che è l’Altro, se non attraverso l’intermediario di questo che è la causa del suo desiderio. A questo titolo, come lo indica la congiunzione di questo S barrato e di questo a, non è nient’altro che il fantasma”. Sappiamo che il fantasma è quel quadro attraverso cui il soggetto nevrotico accosta il reale. Questo quadro che non si muove implica che il soggetto non cessi di ripetere le proprie scelte nel corso della vita secondo il medesimo modello. A meno che non decida di avviare un’analisi. Questo è il valore che Lacan dà alla psicoanalisi. Quello di operare sul fantasma, ed è questo che la distingue da ogni altra terapia.
Dal lato dell’uomo, ciò con cui questi ha a che fare è l’oggetto a. La sua realizzazione rispetto al rapporto sessuale sfocia sul fantasma.
La posizione femminile è tutt’altra. Vediamo nello schema della sessuazione che dalla donna (che scrive La barrata) partono due frecce, una che va verso Φ, l’altra verso S(A barrato). Di solito Φ, il fallo, la donna lo cerca presso l’uomo.
La freccia verso S(A barrato) è più difficile da cogliere. S(A barrato) è il matema che in questo seminario nomina il godimento femminile o anche l’Altro godimento; è molto difficile da cogliere questo Altro godimento, questo punto in cui il godimento della donna non si riassorbe completamente sotto il fallo. Cito ancora: “Nulla si può dire della donna. La donna ha rapporto con S(A barrato) ed è in questo che essa si sdoppia, che non è tutta, poiché d’altra parte, essa può avere rapporto con Φ”. Se si sdoppia, si può dire – è quello che Miller diceva – che la donna è in un certo senso sempre infedele. Anche quando è con un uomo e uno solo, non si limita solo a questo rapporto col fallo nel suo rapporto all’Altro, è anche in un altrove, a livello di questo Altro godimento, di questo godimento della donna che non appartiene al registro fallico.
Allora, alla fine di un’analisi? Che ne è del soggetto maschile? Ho ripreso in Spagna, a La Coruña, un vecchio testo di Eric Laurent, che mette in luce due concezioni della psicoanalisi. La prima rileva di un’interpretazione scorretta di quello che Freud ha sviluppato sulla fine dell’analisi come roccia della castrazione, a cui ogni essere parlante è sottomesso. Questa concezione della psicoanalisi andrebbe dall’illusione alla disillusione. Si entra in analisi con le proprie belle speranze, i propri sogni di poter cambiare il mondo, la propria credenza nel fatto che si potrà essere liberi, uscire dalle proprie difese, dalle proprie inibizioni, dalla propria nevrosi per vivere pienamente una scelta amorosa e professionale. Ma dopo un certo numero di anni, esausto, affaticato da un’analisi lunga ed interminabile, ci si arrende alle cose come sono, bisogna accettare i propri limiti, la propria castrazione, la propria impotenza. Infine, si è disillusi. Bisogna avere a che fare con i propri sintomi, si è questo – niente di più e niente di meno – bisogna ben accettare che il mondo sia fatto com’è fatto. E’ una versione triste della psicoanalisi. Eric Laurent giunge a qualificare questa concezione della psicoanalisi come cinica dato che, non domandando troppo, trovando un “assestamento” con il proprio lavoro e con la propria donna, il soggetto conserva un piccolo godimento. Si trasforma in un eremita cinico che ora sa che non bisogna chiedere troppo all’altro, che nulla cambierà mai e che, dato che il mondo è fatto così, che non c’è più né Bene, né Bello, né Vero nel mondo, deve accettarlo ed adeguarsi docilmente.
Ebbene, dopo una lunga analisi io stesso ero arrivato a questo punto di disillusione nella mia vita. Mi ero presentato una prima volta alla procedura della passe ed ero stato ammesso all’École de la Cause freudienne. Mi andava bene. Non mi aspettavo più molto dalla psicoanalisi. Nel mio luogo di lavoro, aspettavo pazientemente che il direttore terapeutico andasse in pensione e tornasse al suo paese di origine perché alla fine, come l’ossessivo che sogna la morte del padrone per un giorno rimpiazzarlo, potessi essere nominato direttore terapeutico dell’Antenne 110, un centro per bambini autistici. Infine, riguardo alla donna che avevo scelto per essere la madre dei miei figli, avevo imparato a sopportare un allontanamento reciproco che andava bene ad entrambi. Lei badava ai suoi affari ed io ai miei.
Tuttavia mi rimaneva una sensazione diffusa, vaga, di aver mancato l’essenziale nel mio percorso analitico. Sensazione che si è confermata quando, leggendo il testo di Eric Laurent, scoprivo un’altra concezione della psicoanalisi, una concezione che non è né triste, né deprimente, una psicoanalisi che mi appariva come molto lontana da quello che avevo incontrato fino ad allora nelle mie sedute. Eric Laurent indica che nell’analisi si tratta di uscire dal paraocchi del proprio fantasma, di quello che non cessa di ripetersi, di uscire dal destino triste che tesse la nostra storia famigliare, per arrivare alla fine dell’analisi a fare del reale, caso. Ovvero, a liberarsi dalla ripetizione propria al fantasma e ad aprirsi al caso dell’incontro.
Sottolineo questa espressione, “uscire dal paraocchi del proprio fantasma” per arrivare alla fine dell’analisi a fare del reale, caso. Ovvero, per non essere più accecati da quello che è già conosciuto, dalla ripetizione del medesimo, dal rigetto del nuovo.
Propongo adesso di fare una deviazione su quello che costituisce la frase del mio fantasma, di quello che mi acceca da sempre e che l’analisi mi ha permesso di cogliere, di mettere a distanza, e anche di attraversare. A seguito di una nascita difficile, sono stato, nel mio romanzo famigliare, indicato da mia madre come il bambino del miracolo. Posizione delicata, e anche pericolosa per ogni bambino quando è in tal modo spinto verso un posto fallicizzato, messo su un piedistallo e senza difese di fronte alla voracità della madre. Senza dubbio mi andava bene essere il bambino prescelto, pensarmi come l’eccezione fra i fratelli. Quello che non andava d’accordo con questa sensazione era il rigetto continuo che subivo da mio padre. Mi sminuiva continuamente, mi correggeva, mi rifiutava ogni accesso perché mi facessi un posto nel mondo dei grandi. Essere l’eletto della madre non è sufficiente.
Non coglievo la posta in gioco di rivalità fallica di cui ero oggetto. Più ero l’eletto della madre e più ero sminuito dal padre. Ai suoi occhi non valevo niente.
Ho allora orientato le mie azioni in maniera da diventare l’eletto del padre, l’eccezione avvallata dal padre. Per quanto lontano spinga i miei ricordi, non ho mai smesso di voler diventare l’oggetto amato dal padre. Tutte le mie azioni, tutto quello che facevo aveva come orizzonte farmi amare dal padre, farmi riconoscere da lui,  uscire da questa esclusione di cui soffrivo ma che a mia insaputa mi incantava anche.
Essere preso in questa prigione in cui rivaleggiavo con colui che volevo sedurre, essere alienato al farmi amare dal padre, essere chiuso in questa posizione che ho chiamato fallica, mi lasciava irretito nel mio fantasma nel momento in cui ho dovuto scegliere una moglie. Intanto con la problematica ossessiva che mi apparteneva, fu una scelta impossibile, dato che sceglierne una voleva dire rinunciare a tutte le altre.
Quando sono stato in grado di sceglierla, è stato ad immagine di colei che figurava al posto dell’oggetto nel mio fantasma: una donna fissata sul versante dell’immagine, dell’oggetto, dipendente all’eccesso dal fallo, e che piaceva al padre. Non dico che la donna che avevo scelto rispondesse a questi tratti. L’ho scelta a partire da questi tratti, da questi significanti che le ho supposto.
Non ci sono voluti molti anni perché il velo si strappasse, perché scoprissi che non era quella che credevo e che io non ero quello che lei aveva immaginato.
Cosa ha cambiato l’analisi di questo? Qual è stata l’operazione dell’analisi nel mio rapporto alla partner? Si può uscire da questa presa fantasmatica di cui parla Freud nel suo testo Sulla più comune degradazione della vita amorosa? e che Lacan nel suo schema della sessuazione scrive mettendo il versante uomo come quello che risponde alla formula del fantasma?
Nel corso del mio percorso analitico mi è capitato di cambiare analista e di scegliere un analista verso il quale avevo un transfert da quando lo conoscevo, dato che per me rappresentava il padre dell’AMP. Anticipavo in quel modo una divisione in seno all’École de la Cause freudienne…
Con questo nuovo analista mi sono potuto separare dalla mia prima moglie grazie alla congiunzione di due fattori: una progressiva scoperta in cui soggettivavo per la prima volta che il padre da cui avevo ereditato valeva come un piccolo Stalin. Un tiranno. Con la conseguenza di un allentamento della sua posizione di onnipotenza. L’altro fattore è stata una parola dell’analista che ha puntuato uno dei miei enunciati con cui affermavo che non vedevo più alcuna ragione di restare con la mia prima moglie. L’ho lasciata, sollevato, e ho potuto passare ad altre cose.
La cura analitica ha prodotto di conseguenza una riduzione del mio fantasma. Come? Come ha potuto avvenire questo? Come ha potuto il fantasma ridursi fino a non essere più ciò che mi acceca totalmente? La cura analitica ha operato una deconsistenza dell’Altro, dell’Altro paterno. Ha bucato, decompletato la densità che non cessavo di attribuire al personaggio paterno.
Si è prodotta una riduzione del fantasma. Lacan parla di traversata come una delle modalità della fine dell’analisi. Si tratta di una traversata? Ciò che è innegabile è un’uscita da quell’accecamento del fantasma che orientava tutte le mie azioni: essere scelto/escluso dal padre.
Ecco come me lo spiego.
Il corso delle mie successive analisi mi ha fatto cogliere alla lunga una ripetizione, in cui c’era sempre un medesimo nodo, ma rivestito in modi diversi. Dò qui un esempio del modo di trattare da parte dell’analista ciò che non cessava di ripetersi nella mia vita, ovvero un modo di escludermi, di uscire di scena, di lasciare tutto e andarmene.
Un venerdì sera, la vigilia delle giornate dell’École, quelle eccezionali organizzate da J.-A. Miller, avevo chiesto al mio analista uno spostamento delle mie sedute in modo da non dovermi recare due volte in una settimana a Parigi. Arrivo nella sala d’attesa. Non era soltanto piena, strabordava letteralmente. Le persone erano nel corridoio, aspettavano perfino fuori dallo studio, e le sedute non duravano più di cinque minuti. Arriva infine il mio turno. Qualche parola e paf! Taglio della seduta. In strada, letteralmente esplodo. Mia moglie, che era presente quel giorno, riceve i cocci della mia collera. Grido, mi arrabbio, fulmino, tempesto e soprattutto giuro che è finita, che ho perso troppo tempo, troppe energie, troppo denaro con questa cretinata analitica e che il mio analista è riuscito a mettere un punto finale alla mia analisi in meno di due minuti. Mia moglie, anche lei in analisi, mi ascolta, dapprima silenziosa, poi con una voce dolce mi dice: “Vai a dirglielo”.
Nella seconda seduta, lunga nonostante la folla, l’analista fa prova di dolcezza e di un’attenzione sostenuta e amabile. Mi parla, mi indica che di fronte a questo reale con cui ho a che fare – cioè annullarmi, sparire, eclissarmi, uscire di scena, cancellarmi – non si è trovato fino ad oggi nulla di meglio della psicoanalisi. Un po’ come in politica in cui la democrazia è, come diceva Churchill, il modo meno peggio di governare un paese.
Cerco di mettere in rilievo questo punto: di fronte ad un padre feroce, ad un Altro che non mi lasciava altra scelta che sedurlo, farmi l’oggetto che gli manca, per sperare di trovarmi un giorno seduto alla sua destra, di fronte ad un tale Altro era sufficiente che non trovassi nelle coordinate di questo Altro un segno, un indice – anche minimo – di una sollecitudine o di una attenzione particolare perché si mettessero in moto le conseguenze di cui ho parlato, cioè una sparizione, un auto annullamento, un’uscita di scena.
L’analisi nel suo processo continuo di disidentificazione, di sgonfiamento degli ideali, nella tensione che il desiderio dell’analista permette, che va in senso contrario all’identificazione, come dice Lacan nel Seminario XI (J. Lacan, Il Seminario, Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Einaudi, Torino), l’analisi ha reso possibile quello che Lacan chiama l’attraversamento del piano dell’identificazione e, in tal modo, ha permesso di presentificare la pulsione. Rileggendo recentemente qualche pagina di Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano, notavo quel punto qualificato da Lacan come S(A barrato), che si legge: significante di una mancanza nell’Altro, o, in termini di pulsione, la catena che chiude la sua significazione e di cui Lacan indica che: “è ciò che manca al soggetto per pensarsi esaurito nel cogito, cioè ciò che egli è di impensabile” (J. Lacan, Scritti, Einaudi, Torino).
Così Eric Laurent, nel corso della breve discussione che ha seguito la mia testimonianza durante le Giornate, indicava che l’analisi ha potuto allentare il programma proprio al mio fantasma e farmi così passare dal NO del padre (il no proferito dal padre) al padre del NO, cioè occupare io stesso il posto di un padre che può dire no all’Altro.
Da quel momento qualche cosa vacilla nella mia vita. Non essere più in balia del padre, non essere più in balia dell’Altro, dà una leggerezza correlata alla scoperta dell’inesistenza dell’Altro. L’Altro non è più soltanto colui che è onnipotente o nullo, l’Altro non è più soltanto colui che sa o che è ignorante, l’Altro non è più soltanto colui che prende l’iniziativa o che mortifica il desiderio, scopro che l’Altro è bucato, incompleto, che posso averci a che fare, e questo trasforma contemporaneamente le mie relazioni con colei che ho scelto per essere la mia compagna e partner.
Lei non era già più il sostituto materno che presiede alla scelta della maggior parte degli uomini. L’analisi ha permesso al soggetto di rinunciare all’oggetto materno per scegliere una donna che sia Altra.
Lei non è più neppure la donna che piace al padre. In altre parole, è una scelta liberata dal peso del giudizio del padre. Lei è anche Altro. Ma lei è non-tutta, come possiamo leggere nello schema della sessuazione. Non è agganciata solo a Φ, all’uomo.
Occorre quindi che il soggetto maschile possa lasciare alla propria partner questo spazio opaco, questo luogo di un godimento Altro, di un godimento non fallico. Per questo, è meglio che il soggetto maschile abbia regolato il proprio rapporto al fallo, cioè che abbia potuto farlo sgonfiare, che ne abbia preso la misura come un semplice sembiante e niente più.
Diciamolo in altre parole. Il transfert è amore che si indirizza la sapere. Fino a che il Soggetto supposto sapere è in opera, l’analizzante ama il suo analista. Siamo nel registro dell’inconscio transferale. Ma quando il Soggetto supposto sapere cade alla fine dell’analisi, rimane un altro rapporto al sapere che non concerne più l’enigma da decifrare del suo inconscio. Il sapere non si indirizza più all’Altro come questione. Diventa piuttosto un’elaborazione di sapere, si elabora in forma di conversazione, di dialogo. Ed è molto diverso.
Diciamolo in modo ancora diverso, per concludere. L’amore vela il non rapporto sessuale. Amare permette di ricoprire questo impensabile, ed è questo che fa sì che si cerchi perdutamente l’amore. Ma quando si assume il non rapporto sessuale al cuore stesso della cura, quando il soggetto esce dall’impotenza della sua credenza nell’armonia, nel dialogo sempre possibile, nell’accomodamento “win-win” per come lo si intende oggi nei media, quando il soggetto prende atto di questo impossibile del rapporto sessuale, l’amore prende allora un’altra colorazione, diversa. La partner non è più ridotta all’oggetto del proprio fantasma, non si riduce più ad un far valere fallico per l’uomo. Diventa una compagna, nel senso forte del termine, o un Altro con cui si può inventare un nuovo tipo di dialogo, fuori dal quadro del fantasma che accecava fino ad allora il soggetto.