lunedì 7 maggio 2012

…Neppure nel giardino del Re

“Volli cercare il male

che tarla il mondo, la piccola stortura

d’una leva che arresta

l’ordigno universale; e tutti vidi

gli eventi del minuto

come pronti a disgiungersi in un crollo”

Eugenio Montale, Ossi di seppia (1920-1927)



“La nevrosi apparve come l’esito di una lotta fra gli interessi dell’autopreservazione e le richieste della libido, una lotta in cui l’io aveva riportato la vittoria, ma a prezzo di gravi patimenti e rinunzie”.[1]

Sigmund Freud, Il disagio della civiltà (1930)


Fino a qualche decennio fa se un giovane avesse formulato una domanda a partire da “Voglio..”, avrebbe ricevuto in risposta dall’adulto un chiarissimo, “Non se ne parla” e nei casi migliori si sarebbe sentito dire che quanto stava chiedendo proprio non era possibile a partire dal fatto che “l’erba voglio non cresce neppure nel giardino del Re”.[2] Ogni volta che un puerile irruente desiderio si mostrava all’Altro attraverso un deciso “Voglio!” non c’era scampo per il richiedente “in erba” ottenere qualcosa dall’adulto in modo imperativo era impresa valorosa e cambiare interlocutore spesso non portava risultati più soddisfacenti; il giardino del Re era il solo luogo, autorevole e autoritario insieme, per indicare che qualcosa di un irrefrenabile desiderio doveva assolutamente confrontarsi con un reale limitante e con l’Altro che decide. Un detto questo, del giardino del Re, alla base del sistema educativo delle pulsioni, per anni se non addirittura per secoli. Il meccanismo che lo sottende, promuovendolo ad assioma, è piuttosto semplice: più un qualcosa è proibito, più il desiderio aumenta ed il soggetto inizia a lavorare alla costruzione di una “personalità contro”, la stessa che anni dopo, in piena crisi adolescenziale, porta a dire NO all’autorità paterna. Chi l’avrebbe detto mai che quel giardino del Re sarebbe diventato rappresentativo di un limite utile e necessario all’autodeterminismo e individuazione di più generazioni? probabilmente le ultime generazioni ancora libere di desiderare!

Quali gli effetti di una società che non mette più limiti?

Nel disagio della civiltà Freud scrive che: “I bambini non ascoltano volentieri quando si parla della tendenza innata dell’uomo al “male”, all’aggressione, alla distruzione e perciò anche alla crudeltà”.[3] Tutte le fiabe camuffano il male con personaggi e creature terribili e crudeli destinate ad essere sconfitte in nome del “vissero felici e contenti”. L’uomo nero purtroppo non basta a scagionare tutti gli altri uomini, sedicenti buoni, di cui credono di far parte, dalle azioni malvagie. In una prospettiva storico sociale possiamo ricordare come tentativi di questo genere, ossia dividere tra buoni e cattivi, non siano serviti a togliere all’uomo il proprio mal-essere, inteso sia come male di vivere (disagio, stati depressivi) sia come malvagità del proprio essere: è accaduto dunque, in una prospettiva storica, che l’ebreo fu elevato al male che provoca la decadenza e la rivalità sociale; per cui fu dettato, ad un certo punto, che fosse perseguitato e annientato per ristabilire l’armonia perduta per sempre.

Ed è proprio questo il punto: la perdita. Il disagio sta nella perdita. L’uomo, da sempre, ricerca le cause di questa perdita, desidera ritrovare ciò che ha perduto. Oggi ciò che è perduto non è tanto l’oggetto quanto la causa del desiderio che è l’aspetto per cui desideriamo l’oggetto. Il depresso è dunque un soggetto che possiede l’oggetto, ma ha smarrito il proprio desiderio nei suoi confronti, perché la causa che glielo faceva desiderare è venuta meno e ha perso la sua efficacia. Slavoj Zizek a questo proposito scrive che: “Una persona che, per tutta la vita, sia stata abituata a vivere in una certa città e sia infine costretta a trasferirsi altrove è senz’altro rattristata dal pensiero di essere improvvisamente gettata in un nuovo ambiente; ma cos’è che la rende triste? Non è la prospettiva di abbandonare il luogo che per anni è stato la sua casa, ma la ben più sottile paura di perdere il suo attaccamento a quel posto”.[4] Perdere il desiderio per quella che è stata la sua casa per molto tempo. Alla luce di quanto detto, il disagio contemporaneo è forse dovuto alla consapevolezza di non poter più trovare in alcun luogo dell’Altro un limite che svolga, allo stesso tempo la funzione di generatore del desiderio, lasciandoci così contemporaneamente preda degli oggetti ma impossibilitati a desiderare in alcun luogo …neppure nel giardino del Re.

Raffaella Borio

 


[1] S. Freud, Il disagio della civiltà (1924 -1929), in Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1975, vol. 10, p. 605.
[2] “L’erba voglio non cresce neppure nel giardino del Re”. Questo simpatico detto proverbiale deve avere avuto origine al momento in cui i Re europei - a seguito della Rivoluzione Francese - hanno dovuto concedere alle rispettive popolazioni, uno statuto, una costituzione scritta che li privava del potere assoluto (“legibus soluti”) e metteva un limite al loro potere (nascita del c.d. “stato di diritto”). (In Italia ciò accadeva con lo Statuto di Carlo Alberto di Savoia nel 1848). www.corriere.it/Rubriche.
[3]S. Freud, Il disagio della civiltà (1924 -1929), in Opere, vol. 10, op. Cit., p. 607.
[4] S.Zizek, Leggere Lacan, Bollati Boringhieri, Torino 2009, p.86.

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