lunedì 23 luglio 2012

La civiltà sostiene il desiderio?
Antonietta Meo*

Il disagio della civiltà nasce dalla lotta continua fra l’interesse all’autoconservazione e le esigenze della libido, scrive Freud. [1]
A partire da ciò, l’autore fa riferimento alla nevrosi e, in particolare, ai sintomi che si producono, i quali riguardano i propri soddisfacimenti sostitutivi e non sono senza sofferenza, creando anche difficoltà con l’ambiente e con la società.
Freud si interroga sul comandamento “ama il prossimo tuo come te stesso”, aprendo la questione
su due punti: 1) posso amare, ma l’ideale di me stesso, 2) posso non amare una persona perché mi è estranea e amandola compirei un’ingiustizia. L’amore di cui si tratta nell’enunciato del comandamento è un amore universale che punta a delle garanzie e dietro si nasconde il fatto che l’uomo non è una creatura mite, bisognosa d’amore, ma che il suo corredo pulsionale comprende una buona dose di aggressività, per cui l’altro è, in ultima istanza, solo un oggetto sessuale.
Freud parla di ostilità primaria e la società civilizzata è minacciata dalla disgregazione. La civiltà, sostiene fermamente Freud, nello sforzo di impedire le manifestazioni più brutali della violenza, non si esime dall’esercitare violenza sui criminali senza che la legge colga le manifestazioni più discrete dell’aggressività umana.
Ancora oggi si pensa che togliendo la proprietà privata, per esempio, oppure puntando all’uguaglianza, si possa eliminare l’aggressività. L’aggressività non è stata creata dalla proprietà, sottolinea Freud in questo capitolo, ma emerge a partire dall’infanzia del soggetto. L’uomo ha barattato un po’ della sua felicità per un po’ di sicurezza, andando verso l’inibizione pulsionale. Ma oltre all’inibizione pulsionale si dovrà affrontare la minaccia di una condizione che è “ la miseria psicologica delle masse”, avviandosi peraltro ad una reciproca identificazione dei membri; la rimozione non può che procedere di pari passo con la civiltà.
In tutto ciò si coglie l’attualità di Freud, in quanto si domanda dove sia finito il desiderio e come si articola nel suo rapporto costituente con la Legge. L’esperienza indistruttibile del desiderio nell’epoca attuale è difficile da attuarsi perché la Civiltà chiede l’immediatezza del godimento e sappiamo che senza l’esperienza del limite, della castrazione, non si dà esperienza del desiderio che appunto necessita dell’alleanza con la Legge. Oggi invece si raggira la Legge, si cercano le scorciatoie.
Lacan dice che non c’è desiderio senza sostegno simbolico della legge,[2] da qui la necessità di
pensare insieme e non in una cieca opposizione, desiderio e Legge, pensare l’alleanza che li costituisce come il retro e il verso di un unico foglio. Il soggetto freudiano è diviso tra il programma normativo del principio di realtà e quello del principio di piacere.
Una mia interrogazione è: ma oggi, la civiltà aiuta e sostiene la sublimazione? Oggi forse c’è una falsa liberazione della pulsione a partire da un godimento immediato che la civiltà oggi promette, ma che sembrerebbe porti a spegnere quel movimento di desiderio. Il soggetto oggi deve essere solo adeguato e conformato, ridotto dal potere delle merci a essere merce tra le altre.
La sublimazione offre alla pulsione una soddisfazione diversa rispetto a quella offerta dalla rimozione.
La sublimazione è distinta dall’economia di sostituzione in cui solitamente si soddisfa la pulsione in quanto rimossa.

* Partecipante alle attività della SLP

[1] S. Freud, Il disagio della civiltà (1929), in ”Opere”, Bollati Boringhieri, Torino 1978, vol. 10.

[2] J. Lacan, Il Seminario, Libro VII, L’etica della psicoanalisi (1959-60), Einaudi, Torino 1994.

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